Perché mai proviamo interesse per vecchie case appartenute a gente che non abbiamo mai incontrato? Cosa ci attira nell’idea di vagare in uno spazio non più abitato e metterci in contatto con i suoi ricordi?
Anche quando non entriamo fisicamente in uno di questi luoghi (e intendo senza infrangere la legge, non rischiando l’osso del collo per fare irruzione in una casa abbandonata stile ghost hunters!), spesso ci attraggono storie in cui una casa sembra avere una vita propria – anche quando questa vita sembra in qualche modo malevola, come nel caso di una casa infestata.
Sì, certo, la storia è affascinante, ci piacciono i racconti e, a volte, magari, anche ficcare il naso in vicende strane, ma di sicuro dietro a questo fascino che le abitazioni esercitano su di noi deve esserci qualcosa di più oltre al semplice desiderio di immischiarsi negli affari altrui.
Esploriamo più a fondo ciò che ci connette ai ricordi di una vecchia casa e perché questa immagine ci parla in modi che a volte troviamo difficili da spiegare.
Andiamo?
Una Casa come Spazio Poetico
Entra in scena Gaston Bachelard (1884-1962), il filosofo francese che ha ridefinito il rapporto tra noi e gli spazi che abitiamo. Nel suo lavoro La Poetica dello Spazio, Bachelard esplora come le nostre relazioni intime e personali con case, stanze e oggetti riflettano e plasmino la nostra coscienza; le case non sono quindi semplici rifugi, ma partecipanti attivi nella formazione della nostra psiche e del senso del sé.
Bachelard ha un obiettivo molto specifico: esaminare le immagini degli spazi dentro di noi, il modo in cui introiettiamo i luoghi reali che abbiamo abitato e li trasformiamo in “spazi onirici”, entità di sogno che riflettono la nostra psiche e i suoi stati. Sia che siano luoghi di felicità, luoghi legati a sentimenti di amore e protezione, o luoghi di odio, associati alla lotta. Bachelard ci dice: “l’immagine della casa sembra diventare la topografia del nostro io più intimo”.
Non solo Bachelard esamina la struttura della casa, ma prende in considerazione anche il ruolo delle diverse stanze e persino degli oggetti specifici al loro interno: cassetti e armadi diventano i simboli dell'”estetica del nascosto”. E per quanto riguarda le dimensioni? Non sono di certo passate inosservate al suo occhio attento, che ha infatti analizzato il nostro rapporto con il Miniatura e l’Immenso, e tutto ciò che sta in mezzo.
Tornare a Casa, Ancora e Ancora
Questa idea va oltre le diverse case che abbiamo abitato o visitato: le case che rimangono con noi, nella nostra memoria, diventano parte della nostra costellazione di “intimità protetta”.
Attraverso la nostra immaginazione e i nostri pensieri elaboriamo il nostro senso di “rifugio” e lo modifichiamo e rimodelliamo incessantemente: quando sogniamo, tutte queste case che percepiamo come importanti per la nostra storia si compenetrano a vicenda. Bachelard ci dice che l’effetto benefico che questo processo può avere sugli esseri umani è quello di “proteggere il sognatore“: all’interno di questo luogo fantastico nella nostra immaginazione, possiamo sognare in pace. L’immagine della casa nella sua accezione più positiva ha il potere di integrare i pensieri, i ricordi e i sogni di una persona. Possiamo tornare a una culla metaforica e lasciare che il nostro corpo si ristabilisca dove i nostri “esseri protettivi” ancora vivono.
Bachelard poi sottolinea quanta poca importanza diamo alla “localizzazione dei ricordi” rispetto al consueto atto di collocare i ricordi nel tempo. Cercare di conoscerci solo mettendo gli eventi in fila, pensando che solo un’immagine lineare della nostra storia possa essere tracciata, sembra un po’ riduttivo del ruolo che gli spazi hanno nel nostro percorso di scoperta di sé. Siamo esseri tridimensionali, non piatti. Le cose sono tutto intorno a noi, non solo dietro o davanti.
Per esplorare il nostro senso di intimità (o la sua mancanza), localizzare i ricordi nello spazio sembra più importante per Bachelard che perdere tempo con la precisione cronologica. L’intimità è fisica e spaziale: è un luogo più che un punto nel tempo. Quando sogniamo di notte o sprofondiamo in uno stato onirico all’interno di un luogo che sembra parlarci, riattiviamo questi simboli importanti dentro di noi. Torniamo alla nostra prima casa, ancora e ancora: la prima casa è più come un corpus di sogni, come la chiama Bachelard, piuttosto che un luogo reale, perché è fatta dei diversi ricordi e percezioni di sicurezza.
La Mia Casa è Infestata?
A un certo punto, però, dobbiamo affrontare l’inevitabile: non tutte le case si presentano con un regalino di benvenuto. Bachelard parla dell’importanza di coltivare il simbolo dell’intimità, della protezione, della solitudine positiva, certo, ma poi pone il problema chiaramente: cosa facciamo con i luoghi infelici?
Bachelard chiama la differenza tra questi luoghi un contrasto tra l’“inconscio alloggiato”, il mondo interiore di una persona che riesce a sentirsi a casa dentro il proprio corpo e la propria mente grazie alle esperienze positive vissute, e l’“inconscio sfrattato”, quello che non riesce a trovare pace né conforto. In sostanza, il luogo da abitare sembra sempre decisamente pericoloso.
La nostra immagine della casa imprime in noi la capacità di “abitare”: il nostro corpo, i nostri spazi, le nostre relazioni. O abbiamo una “ragione” per sentirci stabili oppure abbiamo un’“illusione” di stabilità: se il senso di essere a casa non è stato costruito in modo sicuro, sembra che la capacità di abitare ci sfugga. Portare l’inconscio sfrattato verso l’integrazione è il compito della psicoterapia e della psicoanalisi.
Dunque, quando ci troviamo di fronte a questioni irrisolte che necessitano del proprio finale, una casa può diventare spaventosa. E, secondo Bachelard, la verticalità della casa ci dice che i suoi due estremi hanno più probabilità di contenere cose inquietanti: la soffitta e la cantina. Inaspettato, vero?
Paura della Soffitta, Paura della Cantina
È una questione di razionale contro irrazionale, dice Bachelard. La soffitta ha sopra di sé il tetto, e il tetto ha un senso. Dichiara chiaramente il suo scopo: sono un tetto e ti proteggo dal clima e dai pericoli potenziali. Più saliamo, più i nostri pensieri si schiariscono, di solito; o perlomeno, dovrebbero. Si va verso la luce. Ma la cantina? Certo, puoi razionalizzare la cantina, concede Bachelard. Puoi dire che è uno spazio utile perché puoi conservarci le cose. Puoi illuderti quanto vuoi, insiste. Ma la cantina resta comunque l’“essere oscuro della casa”. Non puoi negarlo.
Quindi, mentre la soffitta è il luogo intellettuale per progetti, piani e intenzioni, che diventano “spettri” minacciosi se incompleti, la cantina è invece il luogo dove risiede la nostra paura primordiale dell’ignoto, delle profondità insondabili. E poi Bachelard aggiunge un’osservazione interessante: “Nella nostra civiltà, che porta dappertutto la luce, che mette l’elettricità nelle cantine, non è più possibile scendere in cantina con una candela in mano. L’inconscio invece non si sottopone ad alcun processo di incivilimento, prende il candeliere per scendere nel sotterraneo.”
Forse è per questo che ci piace esplorare vecchie case, sia fisicamente che attraverso le storie?
Cosa ne pensi di questa teoria?
Ne abbiamo appena scalfito la superficie!
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Ci vediamo lì allora,
Federica